Immagina di crescere su Marte, lontano dalla Terra, con una gravità alterata, radiazioni costanti e nessuna esperienza umana reale. Jonathan Haidt apre La generazione ansiosa proprio con questa metafora: è la realtà dei nativi digitali che, armati di smartphone fin dalla pubertà, hanno saltato a piè pari il mondo fisico per tuffarsi in quello virtuale.
L’autore esplora le cause dell’ansia crescente tra i giovani nati dopo il 1995 – la famosa Gen Z – e lo fa con un mix di rigore scientifico, storytelling e una buona dose di indignazione. Il colpevole? Uno: l’infanzia fondata sul telefono.
Lo smartphone ha sostituito il gioco, il confronto reale, la noia creativa. Il risultato sono generazioni cresciute a pane e TikTok, con livelli record di ansia, depressione, isolamento e dipendenza digitale.
Ritratto della Generazione Z
Hanno il telefono in mano da prima di sapere scrivere. Hanno imparato a fare swipe prima ancora di allacciarsi le scarpe. Per loro, il mondo fisico è spesso noioso, lento, imprevedibile. Il mondo digitale? Un’oasi di gratificazione istantanea, filtri che migliorano ogni difetto e… un algoritmo che li conosce meglio di mamma e papà.
Sono la Generazione Z, i primi umani della storia ad attraversare la pubertà con uno smartphone in tasca. E Jonathan Haidt ci ricorda che questa non è una nota di colore sociologico, ma una rivoluzione neurologica.
“Abbiamo riconfigurato l’infanzia. È come se li avessimo mandati a crescere su Marte.”
E Marte, diciamocelo, è un po’ ostile.
I dati sono impietosi:
- Aumento del 150% dei casi di depressione tra i teenager dal 2010 al 2020;
- picchi di ansia cronica soprattutto tra le ragazze, vittime di uno “spettacolo social” costante;
- crollo del sonno, dell’attenzione, della vita sociale offline;
- per chi lavora nel marketing: un pubblico giovane stanco, iperstimolato, ma estremamente reattivo a ogni stimolo emotivo.
Insomma, una generazione iperconnessa ma affettivamente disconnessa, che i brand corteggiano con meme e storytelling emozionali senza accorgersi che forse stanno aggiungendo carburante al fuoco.
L’infanzia fondata sul telefono e le cause dell’ansia
La Generazione Z ha vissuto una transizione epocale: dal gioco libero al controllo digitale. Dalla realtà alle app. Dal corpo al touchscreen. Parliamo di una generazione che ha saltato la parte fondamentale del “diventare umani”, quella fatta di cadute, ginocchia sbucciate e litigate al parco.
Il gioco non era solo divertimento: era un addestramento alla vita. Un campo di prova per imparare a gestire emozioni, rischi, relazioni, frustrazioni. Sostituirlo con lo scroll compulsivo ha avuto conseguenze devastanti.
Ma chi ha sostituito il gioco con lo schermo? Noi. I genitori, gli educatori, i marketer, gli sviluppatori di app, i creatori di contenuti “child-friendly”. Abbiamo venduto la narrativa della tecnologia “educativa” per bambini. Abbiamo promosso tablet, smartwatch, giochi interattivi, assistenti vocali per l’infanzia.
La verità è che abbiamo trasformato i bambini in utenti. E gli utenti in metriche.
“Il nostro errore? Proteggerli troppo nel mondo reale e lasciarli allo sbando nel mondo virtuale.”
La Generazione Z non ha mai potuto sviluppare un rapporto sano con la noia, il rischio, l’errore. E questo la rende oggi più fragile, più ansiosa, più vulnerabile agli stimoli iper-emozionali della rete.
Marketing digitale e salute mentale
Il marketing moderno ama definirsi data-driven. Il che, in teoria, è fantastico. Finché i dati non ci mostrano che i nostri utenti sono tristi, dipendenti, insonni e ossessionati dalla propria immagine.
Le piattaforme social sono progettate per massimizzare il tempo speso online. Per ottenere ciò, sfruttano ogni leva psicologica possibile: FOMO (fear of missing out), dopamina da like, comparazione sociale continua, algoritmi che amplificano emozioni forti: rabbia, invidia, desiderio, paura.
E noi? Noi abbiamo imparato a sfruttarle perfettamente. Abbiamo ottimizzato le caption, perfezionato gli hook, ideato “call to action”. Abbiamo reso le nostre campagne irresistibili. Ma irresistibile è anche ciò che crea dipendenza.
Il problema non è solo cosa vendiamo, ma come lo facciamo arrivare. Se il mezzo è tossico, anche il messaggio lo diventa.
Un esempio è una campagna di skincare che promuove “l’autenticità” su Instagram, ma utilizza filtri e influencer ritoccati. Un’app per lo studio che premia la concentrazione con notifiche push ogni 30 minuti. Il meme virale che gioca sull’ansia sociale e diventa branded content.
Ogni volta che usiamo queste tattiche, stiamo educando l’utente alla nevrosi. E il nostro utente – già fragile, già iperconnesso – finisce per associare il nostro brand a un’esperienza che può, letteralmente, peggiorare la sua salute mentale.
Le 4 regole per salvare la Generazione Z
Il libro propone quattro riforme per salvare l’infanzia e l’adolescenza digitale. Sono pensate per genitori, insegnanti, governi.
1. Niente smartphone prima delle superiori → Niente ADV invasivo prima dei 16 anni
2. Niente social media prima dei 16 → Stop alla cultura del confronto digitale
3. Scuola senza smartphone → Contenuti senza distrazioni
4. Più gioco libero → Più esplorazione, meno pressione

Leggere La generazione ansiosa è stata un’esperienza intensa, quasi claustrofobica.
Ho provato ansia — sì, sul serio — nel realizzare quanto profondamente la tecnologia abbia modificato l’infanzia e l’adolescenza delle nuove generazioni. Ma è proprio da questo disagio che nasce la consapevolezza.
Consiglio questo libro a tutti coloro che hanno un ruolo nella costruzione del presente digitale: marketer, educatori, genitori, imprenditori e chiunque voglia comunicare in modo più etico, empatico e sostenibile. Non è una lettura leggera, ma è una lettura necessaria.
