Quando è stata l’ultima volta che hai scoperto qualcosa di nuovo online? Un’informazione, un prodotto, un servizio? Come è arrivato da te?
Kyle Chayka, noto scrittore del New Yorker, ci porta in un viaggio attraverso il passato e il presente della cultura digitale nel suo nuovo libro, Filterworld.
L’autore, cresciuto insieme all’avvento di internet, riflette con nostalgia su come le scoperte personali avvenivano prima dell’era degli algoritmi. Ricorda con affetto quando, da adolescente, trovava per caso canzoni come “My Favorite Things” di John Coltrane ascoltando la radio locale.
Un’esperienza che, secondo lui, sarebbe stata impossibile su Spotify, poiché l’algoritmo probabilmente non avrebbe mai suggerito una canzone così lunga.
Quanto è rassicurante avere il nostro “orticello”, su misura per le nostre esigenze e con consigli mirati in base a ciò che persone simili a noi hanno scelto? E quanto invece è spaventoso? Questo libro invita a una riflessione profonda su un tema che ci tocca tutti da vicino.
Algoritmi: l’appiattimento della cultura
L’autore ci accompagna attraverso una serie di aneddoti “ai miei tempi” per argomentare come gli algoritmi abbiano “appiattito la cultura”.
Confronta la personalizzazione culturale che avveniva attraverso librerie, DJ radiofonici e curatori di musei con le raccomandazioni impersonali di Netflix, TikTok e Spotify.
Secondo Chayka, questi algoritmi promuovono i contenuti meno ambigui e meno significativi, creando un mondo culturale che favorisce il “minimo comune denominatore”.
Non parliamo solo del mondo digitale: il libro esplora anche come gli algoritmi influenzino il nostro mondo fisico.
Chayka offre un’intrigante e inquietante spiegazione di come tutti i caffè del mondo abbiano finito per assomigliarsi, grazie a Instagram e Snapchat.
Questo fenomeno di omogeneizzazione non è limitato solo ai caffè, ma si estende a molti aspetti della nostra vita quotidiana, dove tutto sembra essere ottimizzato per l’estetica dei social media piuttosto che per l’esperienza umana reale.
La battaglia tra algoritmi e gusti umani
Chayka si interroga se il nostro gusto personale sia davvero nostro o se sia stato modellato dagli algoritmi.
Racconta di una giovane donna che si chiede se ciò che le piace sia davvero quello che le piace, preoccupata di essere troppo influenzata dai suggerimenti di Pinterest e Instagram. Questo fenomeno, definito da Chayka come “ansia algoritmica“, rappresenta il dilemma centrale del libro: siamo schiavi degli algoritmi o possiamo ancora fidarci dei gusti umani?
Il libro è guidato dall’argomento che il “dilemma centrale della cultura” oggi sta nella scelta tra algoritmi e gusti umani.
L’autore, infatti, evidenzia come i sistemi di raccomandazione stiano erodendo il gusto personale, che ora è modellato a immagine e somiglianza degli algoritmi.
Tuttavia, egli ammette che non esiste una forma pura di cultura che avvenga al di fuori dell’influenza tecnologica, ma rimpiange un passato immaginario in cui un “modello tradizionale di tastemakers umani” prevaleva, e persone reali determinavano il successo di libri, film e musica.
L’antidoto: la Consapevolezza
Verso la fine del libro, Chayka ci offre una soluzione semplice ma potente: coltivare il nostro gusto personale attraverso il passaparola e l’impegno attivo.
Tuttavia, questa proposta sembra un po’ come un cerotto su una ferita più grande, poiché il problema degli algoritmi è profondamente radicato nel sistema capitalista in cui viviamo. Chayka racconta della sua esperienza di “cleanse algoritmico”, durante il quale si è disconnesso da Twitter, Instagram e Spotify per alcuni mesi. Inizialmente ha sofferto di “fear of missing out”, ma alla fine ha sentito ritornare la sua creatività.
Quando è tornato nel mondo online, ha ignorato il flusso costante di raccomandazioni e ha cercato solo le nicchie che lo interessavano.
Durante questo periodo, l’autore ha scoperto che la guida degli algoritmi è completamente superflua. “Riconquistare il controllo non è così difficile“, scrive l’autore. “Si fa una scelta personale e si inizia a cercare intenzionalmente la propria tana del bianconiglio culturale, che porta in nuove direzioni, verso decisioni ancora più indipendenti… e, infine, a un senso di sé.”
Filterworld è un libro che invita alla riflessione su come la nostra cultura e i nostri gusti siano stati plasmati dagli algoritmi. Non è un libro da ombrellone, sia chiaro. Ma è un bel bagno di consapevolezza.
Con un tono scherzoso e informale, l’autore ci fa ridere e pensare allo stesso tempo, offrendoci una prospettiva nostalgica e critica sul mondo digitale moderno. Un libro che, nonostante qualche critica, riesce a catturare l’essenza della nostra epoca algoritmica e a proporre piccoli atti di resistenza quotidiana.
Un’indagine puntuale che si conclude con un lieto fine: ritrovare il controllo non è così difficile come sembra.
Questo libro è adatto a chi si interroga sul micromondo informativo in cui naviga giornalmente. Non è un libro solo per chi è del settore, anzi, parla a chi vuole scegliere consapevolmente di quali contenuti fruire.