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TRE domande a… Enrico Marchetto

Enrico Marchetto: Co-Owner di Noiza e Social Media Strategist

Oggi parliamo con Enrico Marchetto, professionista di rilievo nel campo del marketing digitale, noto per le sue competenze strategiche nel mondo dell’advertising su Facebook e Instagram. Fondatore di Noiza, una delle prime e più grandi agenzie italiane di Digital Marketing specializzata nella pubblicità sui social media, vive a Trieste e insegna Strategie Digitali all’Università di Udine. 

I suoi libri, come “Facebook e Instagram: strategie per una pubblicità che funziona” e “Confessioni di un marketer”, sono un riferimento per chiunque voglia approfondire le dinamiche pubblicitarie sui social, grazie alla loro chiarezza e approccio pratico. 

Punto di riferimento e voce autorevole nel settore del marketing digitale, gli abbiamo fatto tre domande. Ecco la sua intervista.

Il lavoro dell’advertiser oggi: tra algoritmi che aiutano e consigli per chi inizia

Partiamo dal tuo lavoro e dai tuoi anni di esperienza sul campo. Come è cambiato il lavoro di advertiser negli ultimi anni tra etica, attenzione alla privacy e alla gestione dei dati, l’evoluzione delle piattaforme e degli algoritmi, e l’arrivo di Tiktok?

Partiamo con un esempio molto pratico e poi proviamo a generalizzare.
Uno dei concetti fondanti, un pilastro direi, del marketing online e del marketing in senso più ampio è sempre stato quello delle Buyer Personas.
Studiare e analizzare archetipi di potenziali nostri consumatori e nostre consumatrici.

Federica, 31 anni, un master in Digital Marketing che lavora in un’azienda del tech come responsabile marketing. Fa la spesa alla Coop, veste Liu Jo, appassionata di Calistenica e di viaggi nelle città d’arte.

Ecco, questa, molto semplificando, è una potenziale “buyer persona”.

Nel 2025 ha ancora senso tutto questo? Se prendo il fronte Meta la maggior parte delle mie campagne è impostata priva di un target, se vado sul fronte complementare, quello di Google, idem. La targetizzazione algoritmica è nella maggior parte dei casi molto più efficiente della prototipazione umana del target. 

Oggi è l’algoritmo a scegliere, e lo fa molto meglio di te, a chi recapitare un contenuto.

Questo significa rendere obsoleta lo studio delle buyer personas? No, assolutamente no. Solo ne ha spostato il senso. Se prima immaginavo archetipi di consumatore da raggiungere, adesso non ho più il problema di raggiungerli, ma ho il compito di attivarli. E quindi tutto si sposta a livello di contenuto: studio le buyer personas per immaginare quale possa essere il miglior pain point per attivarle, a quali stimoli sono sensibili quei prototipi. A consegnarli nel miglior modo possibile ci penserà la AI di Meta.

TikTok ha avuto un ruolo fondamentale nello spronare Meta a uscire dalla logica fan e follower ed è entrare nel contenuto di puro prospecting, cioè un contenuto orientato a chi non ci non segue. Costringe il social media manager a uscire dalla zona di comfort della progettazione un contenuto che vedranno solo fan e follower e lo orienta a un pubblico completamente nuovo.

Il tuo ultimo libro “Confessioni di un marketer” affronta in modo critico alcune dinamiche del marketing digitale. Quale aspetto del settore ritieni più urgente cambiare? Quali sono gli errori più comuni, legati a questo aspetto, che le aziende fanno ancora oggi quando approcciano la pubblicità sui social media?

Io non amo molto questa domanda. Nel senso che ogni azienda ha un proprio storico social e un proprio modo di inserire Meta nell’asset aziendale e parlare di “errori” mi fa entrare subito nella posizione scomoda di sottolineare con la penna rossa le cazzate aziendali. 

Non fa parte del mio stile.

Io parlerei principalmente di 3 grandi attestati di immaturità del mercato:

  1. si investe ancora molto poco. Ne faccio proprio una questione di budget. Si spendono pochissimi soldi in advertising, in investimento digital marketing, per una questione meramente culturale
  2. si trattano i social in modalità passiva e non aggressiva. Vado a una fiera e pubblico le foto della fiera. Ok perché? Chi attivi con le foto della tua fiera? A chi interessa? Perché dovrebbero comprare un prodotto da te grazie alle tue foto della fiera?
    Esce la mia nuova linea di prodotto e pubblico la mia nuova linea di prodotto? Benissimo. Ma non lo fanno altre migliaia di aziende del tuo settore? Perché dovrebbero scegliere proprio te? Perché non mi racconti come è nata la tua linea di prodotto? Perché non la fai raccontare dal dietro le quinte di un ambassador? 
  3. Frequenza. Non basta raggiungere le persone. Ma dobbiamo alzare il numero di impression. Per provare a rimanere top of mind.
    Spesso i budget che vedo sono sufficienti per fare la copertura giusta.
    Ma totalmente insufficienti per provare a rimanere memorabili.

Adesso però dovremmo aprire un nuovo capitolo: “gli errori dei social media manager”.

Tipo “lavorare a cottimo”. Cioè ti pago per fare 3 post.

Il giorno in cui cercheremo un punto di conversione e faremo ruotare la nostra fee da social media manager attorno a quel punto di conversione (morale “io ti porto più vendite tu mi paghi proporzionalmente alle vendite”) il mercato farà un salto di maturità pazzesco.

Insegni in un corso di Laurea. I tuoi ragazzi sanno la fortuna che hanno? Scherzi a parte, la domanda non è questa. Ma si lega anche al tuo lavoro di “insegnante”. Che consiglio daresti (o già dai) a chi vuole iniziare una carriera nel mondo del marketing digitale? Il consiglio dell’Enrico che entra ogni giorno nella sua agenzia e sa cosa lo aspetta, mentre tanti giovani di oggi non hanno davvero idea di cosa sia lavorare in questo mondo.

Il problema maggiore che noto con le mie classi è quello di confondere il Social Media Marketing col “fare i post su Facebook, Instagram e TikTok”.

Quello è qualcosa come il 10% del lavoro.

Il resto del lavoro è:

  • fogli excel
  • attribuzione
  • incrementalità
  • gestione e pacing del budget
  • analisi dei trigger point del potenziale target
  • scaling
  • tracking
  • armonia con gli altri canali

Quello che provo a portare in classe è la complessità. E imparare ad affrontarla.
Non siamo nel reparto di chirurgia a cuore aperto, ma non siamo nemmeno solo quelli che riempiono un piano editoriale.

Ci sono un sacco di variabili da studiare e risolvere.

Invece, spesso, dedichiamo il 90% dello sforzo a qualcosa che vale il 10% del totale.

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