Jessica Malfatto, Co-founder di Disclosers: tra PR, media e giornalismo. Il valore strategico della comunicazione oggi
In un contesto in cui i social media hanno ridefinito il ruolo della comunicazione tradizionale, le PR devono oggi bilanciare strategia, tecnologia e psicologia per rimanere efficaci. Ne abbiamo parlato con Jessica Malfatto che, dopo un inizio di carriera nel giornalismo, ha scelto di concentrarsi sulle PR e le media relations, specializzandosi nella costruzione di strategie efficaci per startup e imprese.
Il suo percorso l’ha portata a fondare Disclosers, una boutique agency che oggi conta un team di 30 persone e collabora con realtà di primo piano. Parallelamente alla sua attività di consulenza e formazione, è host del podcast Oltre il titolo, è stata docente presso la 24ORE Business School e l’Università Cattolica di Brescia e con la sua agenzia ha investito anche in alcune startup, dove la comunicazione gioca un ruolo centrale nelle sue scelte.
Nel suo ultimo libro, “PR e Media Relations per Piccole e Medie Imprese”, (trovi la recensione qui – link) affronta il tema della visibilità strategica per le aziende, analizzando le dinamiche che regolano il rapporto tra brand, media e pubblico.
In questa intervista, approfondiremo con lei il passaggio dal giornalismo alle PR e cosa, secondo la sua esperienza, manca oggi al giornalismo per riuscire a dialogare meglio con il mondo delle startup e delle PMI. Parleremo anche di come il ruolo delle PR stia cambiando nell’era digitale, tra l’accesso diretto ai media, l’impatto dell’intelligenza artificiale e l’importanza di saper leggere le dinamiche psicologiche di giornalisti e pubblici target. Infine, ci concentreremo sul valore della comunicazione nel mondo delle startup e degli investimenti, per capire quanto una strategia solida possa realmente influenzare il successo di un’impresa emergente.
Scopriamo insieme il suo punto di vista.
Nelle PR non si aspetta che una storia diventi notizia: si lavora affinché lo diventi.
Hai iniziato la tua carriera come giornalista per poi spostarti nel mondo delle PR e delle media relations. Guardando indietro, cosa ti ha fatto capire che la comunicazione strategica avrebbe rappresentato il tuo futuro? E cosa pensi manchi oggi nel giornalismo per renderlo più vicino al mondo delle startup e delle PMI?
Quando ho iniziato a lavorare nel giornalismo, prima come collaboratrice esterna, poi all’interno di una redazione, mi affascinava l’idea di raccontare storie (uno dei miei momenti preferiti, ad esempio, era quello delle interviste a persone che avevano costruito un progetto, un’iniziativa) e dare forma a contenuti che avessero un impatto, ma c’era un aspetto che mi lasciava sempre un senso di incompletezza: la possibilità di costruire attivamente la narrazione di un brand o di un’impresa.
Il giornalismo ha un ruolo fondamentale nella società, questo è fuori discussione. Ma segue dinamiche molto precise: è scandito dall’attualità, dai tempi serrati delle redazioni, dalle necessità editoriali e da criteri di notiziabilità che determinano cosa merita spazio e cosa no.
E questo significa una cosa molto semplice: ci sono storie – anche straordinarie – che non riescono a emergere. Non perché non siano valide, ma perché non rientrano nei parametri giusti al momento giusto. Per le aziende, e in particolare per le startup o le PMI, questa è spesso la realtà con cui si scontrano. Innovano, crescono, fanno scelte che meritano attenzione, ma se non c’è un elemento di “news” forte, rischiano di rimanere fuori dal radar.
Ecco perché ho scelto di passare dall’altra parte. Perché nelle PR non si aspetta che una storia diventi notizia: si lavora affinché lo diventi.
La comunicazione strategica non è solo un esercizio tecnico, ma un processo creativo. È capire come posizionare un brand nell’ecosistema dell’informazione, come intercettare i trend giusti prima che esplodano, come trasformare un avvenimento interno all’azienda in un messaggio rilevante per il mercato.
La creatività, in questo contesto, è fondamentale. Fare PR non significa solo scrivere comunicati stampa o inviare pitch ai giornalisti: significa immaginare e disegnare possibilità narrative che non esistono ancora. Significa individuare connessioni tra fenomeni diversi, trovare un linguaggio che renda un tema accessibile a pubblici nuovi, disegnare storie che vadano oltre i numeri e le metriche per toccare un livello più profondo – che sia emotivo, sociale o culturale.
E alla fine, è proprio questa possibilità di costruzione strategica che mi ha portata a scegliere le PR. Perché raccontare è stimolante e importante, ma costruire – attivamente, con visione e metodo (senza dimenticare mai il forte senso di responsabilità nel farlo) – lo è ancora di più.
Per quanto riguarda il giornalismo, credo che uno dei problemi principali sia la distanza che in molti casi (non sempre) esiste tra il mondo delle startup e delle PMI e il modo in cui vengono raccontate sui media. Ma forse questa distanza non è dovuta solo a una mancanza di spazio o di interesse, quanto piuttosto a un limite (sottolineo, non sempre, ma spesso) nella profondità del racconto.
Le PMI e le startup non sono semplicemente aziende più piccole o in fase di crescita: sono realtà che generano impatti significativi su settori, territori e intere filiere industriali. Il modo in cui vengono raccontate, però, – nella maggior parte dei casi – tende a ridurre la narrazione a due estremi: da un lato, il successo clamoroso (exit, round di finanziamento), dall’altro, la cronaca delle difficoltà o dei fallimenti.
Ciò che manca è il racconto dell’impatto nel mezzo, della trasformazione che anche una PMI può generare, del valore (reale) che costruisce nel tempo. I media dovrebbero andare oltre il dato finanziario e interrogarsi su come queste imprese stanno ridefinendo i loro mercati, creando nuovi modelli di business, innovando nelle filiere produttive o trasformando interi ecosistemi lavorativi.
Il giornalismo economico, oggi, ha un’opportunità enorme: quella di restituire una narrazione più completa del mondo imprenditoriale, che vada oltre i momenti di clamore e sappia raccontare le storie con maggiore profondità. Serve una sensibilità diversa nel cogliere il valore di un’azienda prima che diventi un colosso, nel dare spazio ai processi – e non solo ai risultati – nel riconoscere che l’innovazione non si misura solo in brevetti, ma anche in visione, in cultura aziendale, in scelte strategiche di lungo periodo.
In questo contesto, le PR giocano un ruolo diverso dal giornalismo, ma complementare. Il nostro lavoro non si limita a cercare visibilità, ma a costruire una percezione solida e coerente nel tempo, aiutando le aziende a posizionarsi in un racconto che non sia effimero, ma significativo. Non si tratta solo di “far parlare” di un brand, ma di tradurre il suo valore in una narrazione capace di avere un impatto reale. Questo è il motivo per cui, alla fine, ho scelto di stare dalla parte delle pubbliche relazioni.
Come cambia il ruolo delle PR oggi tra strumenti digitali e AI
Nell’era dei social media e dell’accesso diretto ai canali di comunicazione, il ruolo delle PR sta cambiando profondamente. Oggi le aziende possono gestire autonomamente la propria narrazione, ma spesso faticano a creare un impatto autentico e strategico. Quanto conta la capacità di leggere le dinamiche psicologiche di giornalisti e pubblici target rispetto all’uso degli strumenti digitali e come l’IA sta rivoluzionando il settore?
Il cambiamento che si sta vivendo a livello comunicativo e in generale nel contesto dell’informazione è sempre più profondo. Oggi qualsiasi brand, qualsiasi azienda, grande o piccola, ha il potere di comunicare direttamente con il proprio pubblico, senza passare dai media (tradizionali e non).
Questo chiaramente ha reso più accessibile la comunicazione, ma ha anche creato una saturazione enorme di contenuti: il problema non è comunicare, ma farsi ascoltare (e nella “battaglia per l’attenzione” la competizione è altissima e il pubblico sempre più frammentato).
In questo scenario, è evidente che la capacità di comprendere anche le dinamiche psicologiche del pubblico e dei giornalisti diventa un asset strategico. Fare PR oggi, infatti, non significa solo conoscere gli strumenti o saper costruire contenuti mediaticamente interessanti, ma avere una sensibilità profonda nel cogliere ciò che risuona davvero con le persone (oltre a un ottimo livello di informazione su base quotidiana). Vuol dire intercettare le conversazioni, leggere tra le righe, capire i contesti. E, soprattutto, vuol dire informarsi ogni giorno, perché la rilevanza si costruisce solo con una conoscenza solida di ciò che accade nel mondo, nel mercato, nel settore in cui si opera.
C’è poi un altro punto fondamentale: la narrazione. I dati ci dicono che la soglia di attenzione si è drasticamente ridotta negli ultimi anni e che le persone si connettono con i brand soprattutto attraverso storie che evocano emozioni o rispondono a un bisogno concreto. Qui entra di nuovo in gioco la creatività.
Perché non basta avere un buon prodotto, un buon servizio o un buon progetto imprenditoriale. Bisogna saperlo raccontare. E farlo in un modo che sia coinvolgente, che vada oltre l’elenco delle caratteristiche tecniche e che sappia rispondere alla domanda che ogni persona, in fondo, si pone: perché dovrebbe interessarmi?.
L’intelligenza artificiale sta cambiando radicalmente il settore, accelerando soprattutto processi di analisi e personalizzazione. Oggi possiamo utilizzarla per estrapolare dati, individuare i trend con maggiore velocità, analizzare le fonti in modo più ampio e preciso. Ma la tecnologia, da sola, non è sufficiente. L’intelligenza artificiale può fornire insight, ma l’interpretazione strategica resta – e resterà – una competenza umana.
E qui sta il punto: il ruolo delle PR si sta biforcando. Da un lato, c’è un utilizzo sempre più avanzato di dati e algoritmi per ottimizzare la comunicazione; dall’altro, c’è un ritorno alla profondità e alla personalizzazione, perché, alla fine, la differenza la fa ancora la capacità di creare connessioni autentiche.
Le aziende che comprendono questa doppia dinamica – tecnologia e psicologia, dati e creatività – sono quelle che riescono davvero a emergere. Non perché gridano più forte delle altre, ma perché sanno posizionarsi in modo strategico, raccontarsi nel modo giusto e costruire relazioni che durano nel tempo.
Parliamo della tua esperienza di investitrice e del peso della comunicazione nelle startup che scegli. Oltre a gestire Disclosers, infatti, sei anche investitrice in startup e fondi di venture capital. Quando valuti un progetto imprenditoriale, quanto pesa la capacità del team di comunicare la propria visione e di costruire relazioni con i media? E quali sono gli errori più comuni che le startup commettono quando cercano di ottenere visibilità mediatica?
Quando valuto un progetto imprenditoriale in cui investire, mi baso su diversi fattori. Ovviamente ci sono gli elementi più tecnici – il modello di business, la scalabilità, la solidità finanziaria – per i quali mi affido anche molto all’analisi di persone estremamente competenti in questi ambiti, che mi aiutano ad avere una fotografia lucida su aspetti che, da sola, potrei valutare con meno precisione.
Ciò che per me è sempre centrale, però, è il team. Un investimento può non andare a buon fine da un punto di vista economico o aziendale, può non decollare come previsto o può incontrare ostacoli che ne bloccano la crescita. Ma il rapporto con i/le founder resta. E proprio per questo, ogni decisione deve tenere conto di una domanda fondamentale: se anche questa startup non avesse successo, cosa mi rimarrebbe?
Per me è essenziale valutare non solo il potenziale di un’azienda, ma anche il valore del rapporto umano e professionale che posso costruire con chi la guida e ciò che si genera in termini di ecosistema, network e opportunità a partire da quell’operazione di investimento.
E poi c’è un altro aspetto che considero sempre: cosa aggiunge questa esperienza al mio bagaglio?
Ogni interazione con un/una founder, ogni progetto in cui mi coinvolgono, mi restituisce qualcosa. Può essere una nuova prospettiva sul mercato, una lezione importante su come affrontare le difficoltà, un’ispirazione per il mio lavoro nel campo della comunicazione.
E poi, chi può dire cosa accadrà in futuro? Magari oggi un progetto non funziona come previsto, ma tra qualche anno, con un contesto diverso, con nuove competenze e con un mercato più maturo, le cose possono cambiare. E il legame costruito nel tempo può diventare la base per qualcosa di ancora più solido.
Un altro elemento che considero determinante è la comunicazione. Non solo nella sua accezione più evidente – ovvero la capacità del team di raccontare il proprio progetto in modo chiaro, convincente e strategico – ma anche come strumento per costruire relazioni, trasmettere visione e attrarre i giusti interlocutori.
Una startup può avere un prodotto / piattaforma / progetto validissimo, ma se non sa comunicarlo, rischia di restare invisibile. Allo stesso tempo, la comunicazione interna ed esterna di un team è un indicatore chiave della sua capacità di affrontare la crescita, gestire le crisi e costruire credibilità nel tempo.
Per quanto riguarda infine gli errori più comuni che le startup commettono quando cercano di ottenere visibilità mediatica, uno dei più “impattanti” – a mio avviso – è legato alla visione a breve termine. Molte si concentrano solo sui risultati immediati e non considerano le PR come una costola fondamentale della loro strategia di comunicazione. Pensano alla copertura mediatica come a un obiettivo occasionale, da raggiungere solo in occasione di un round di finanziamento o del lancio di un prodotto, invece di costruire un posizionamento costante e credibile nel tempo.
Questa narrazione on-off può essere persino controproducente (e, inoltre, non va a costruire quella sfera protettiva dal punto di vista reputazionale). Perché un brand che compare sui media solo sporadicamente, senza una continuità narrativa, non costruisce un’identità solida e riconoscibile. E se la percezione che si genera è quella di una comunicazione opportunistica, anziché strategica, si rischia di bruciare opportunità di crescita – in questo segmento – nel lungo periodo.
Secondo l’Edelman Trust Barometer 2024 Global Report, il 62% delle persone si fida dei media tradizionali. Questo dato è fondamentale: senza fiducia da parte di consumatori, partner e investitori, non c’è crescita. E le PR giocano un ruolo centrale proprio perché contribuiscono a costruire questa fiducia nel tempo, attraverso un racconto coerente, credibile e strutturato.
Ma possono diventare un vero ingrediente strategico solo se vengono portate avanti in maniera continuativa.