Un libro che ci costringe a guardarci in faccia, senza filtri né like.
All’inizio era tutto entusiasmo: la rete era un luogo di libertà, fatto di connessioni autentiche, condivisioni spontanee e goffi tentativi di raccontarci. Poi sono arrivati i social network. In Il lato oscuro dei social network, l’autrice Serena Mazzini ci accompagna in un viaggio che parte proprio da lì – da quell’utopia originaria – per mostrarci come e quando qualcosa si sia rotto. Con tono diretto ma mai allarmista, il libro analizza come i social abbiano trasformato la nostra quotidianità, il nostro modo di comunicare e perfino la percezione che abbiamo di noi stessi.
Un sistema che ci trattiene, mentre ci convince di essere liberi
Serena Mazzini non parla da esterna, ma da insider: ha lavorato per oltre un decennio nel mondo della comunicazione digitale e conosce bene le logiche che lo governano. Il suo punto di vista è quindi lucido e consapevole, sostenuto da una conoscenza tecnica e culturale profonda, che riesce a tradurre in modo accessibile anche per chi non è del settore.
Il primo capitolo, “Come topi in gabbia”, è un brillante esempio di questo approccio. Qui l’autrice ricostruisce la nascita e l’evoluzione dei social con grande senso critico, usando parallelismi cinematografici e riferimenti che rendono la lettura scorrevole e stimolante. Si capisce, attraverso esempi concreti, come queste piattaforme siano nate per rispondere a esigenze sociali reali, ma si siano rapidamente trasformate in ambienti che premiano il contenuto più estremo, amplificano le emozioni più forti e ci spingono a condividere sempre di più, sempre più in fretta.
Dietro quegli schermi luminosi, ci dice l’autrice, si nasconde un sistema disegnato per generare dipendenza. Un meccanismo raffinato, che sfrutta i nostri bisogni inconsapevoli e ci tiene intrappolati in un flusso continuo di narrazioni costruite, finendo per influenzare non solo le nostre decisioni, ma anche il modo in cui guardiamo gli altri e noi stessi.
La narrazione dell’individualismo: dalla spontaneità all’artificio
Quello che colpisce è come il libro riesca a mettere in luce le trasformazioni che la cultura digitale ha imposto: dalla condivisione spontanea alle narrazioni perfettamente orchestrate, dai contenuti genuini alla spettacolarizzazione dell’emozione. La visibilità diventa una moneta, la competizione per l’attenzione una regola del gioco. Lo storytelling, spinto all’estremo, diventa uno strumento per monetizzare tutto: dalla gioia alla vulnerabilità, dal dolore alla morte.
Il passaggio da utente a prodotto è graduale, ma inesorabile. E in questa dinamica, non siamo solo vittime: siamo anche complici.
Sharenting, dolore e spettacolo: quando la vulnerabilità diventa contenuto
Nel libro affronta il tema dello “sharenting”, ovvero la condivisione eccessiva di contenuti che riguardano i figli da parte dei genitori. Dai blog delle mamme ai family vlogger, racconta come un fenomeno nato da un bisogno di confronto si sia trasformato in una macchina per fare visibilità (e spesso profitto), in cui i bambini diventano protagonisti inconsapevoli di una vera e propria fiction familiare online.
L’autrice approfondisce anche altre forme di esposizione problematiche: la spettacolarizzazione della malattia (il reality show della malattia), del dolore (grieftok), della povertà e del disagio sociale. Si tratta di contenuti che generano like, commenti, condivisioni e quindi valore per le piattaforme – ma a quale prezzo umano?
Con grande capacità narrativa, ci mostra che queste dinamiche non sono nuove. La storia è piena di casi in cui le persone vulnerabili sono state messe in mostra per intrattenere. Ma i social hanno amplificato tutto questo fino a farlo diventare una norma, grazie anche alla logica dell’algoritmo che ci propone sempre più contenuti affini a quelli con cui interagiamo.
Un’analisi profonda, ma anche un invito alla responsabilità
Nella parte finale del libro, il tono si fa più ampio e quasi politico. Non è solo questione di selfie e stories: è questione di potere. L’autrice riflette sul ruolo delle big tech e sul loro peso crescente anche nelle decisioni politiche globali. Si parla di tecnocrazia, di algoritmi che influenzano la democrazia, di un potere opaco che agisce spesso senza controllo.

Il lato oscuro dei social non è un testo catastrofista. Serena Mazzini non propone di “uscire dai social”, ma di restare – se vogliamo – in modo consapevole. Conoscere i meccanismi significa poterli disinnescare, o almeno smettere di assecondarli passivamente. Perché, come scrive, «se non ci opponiamo, non siamo solo vittime, ma complici».
Perché tutti usiamo i social, ma pochi li conoscono davvero. Perché è un libro che aiuta a capire che il problema non sono solo le piattaforme, ma anche gli utenti – cioè noi – che le alimentiamo. Perché la tecnologia non è il nemico: è lo specchio. Sta a noi decidere cosa vogliamo vedere.
Una lettura utile, anche per chi lavora nella comunicazione. Perché in un settore in cui tutto passa dalle piattaforme, serve ogni tanto fermarsi e chiedersi: “che tipo di mondo stiamo costruendo?”
