Da più parti si dice che la lingua italiana sta morendo sotto i colpi degli errori commessi soprattutto dagli utenti di Facebook e dei social network in generale, ma anche da molti politici e dalla maggior parte dei giornalisti. L’italiano muore perché nessuno usa più il congiuntivo, si fanno errori di ortografia, si usano troppi anglismi.
L’italiano non sta molto bene, in effetti, come dimostrano gli scarsi risultati di alcuni studenti nei test di questi ultimi anni. Ma i sintomi della malattia non sono tanto la morte del congiuntivo, l’eccesso di parole inglesi e di neologismi, gli errori d’apostrofo e d’accento, quanto la difficoltà che molto italiani incontrano nel comprendere e riassumere un testo complesso. La cagionevole salute dell’italiano sembra procedere di pari passo con la salute, altrettanto incerta, delle facoltà logico cognitive di molti.
La lingua è soggetta ai mutamenti storici e alla ri-negoziabilità delle norme. Se così non fosse, la grammatica dell’italiano non sarebbe mai cambiata dal 500. Ma se noi oggi siamo ancora in grado di leggere con relativa facilità uno scritto del 500 (perché poi così tanti cambiamenti nella lingua scritta non ci sono stati) tra 500 anni i nostri pronipoti faranno molto fatica a leggere i nostri scritti.
Le variazioni della lingua
La variazione diacronica è la capacità di ogni lingua di variare nel tempo. A questo si uniscono la variazione diatopica, che indica il variare della lingua in base al luogo, la variazione diafasica che consiste nel variare di una lingua in base al contesto comunicativo e all’ambito professionale; la variazione diastratica ovvero il variare di una lingua in base al livello socioculturale di chi la usa e, in ultima, la variazione diamesica, aggiunta di recente al numero delle variazioni, che considera il variare della lingua in base al mezzo di comunicazione o al canale di trasmissione utilizzato.
Questo per dire che la grammatica di una lingua non coincide con la grammatica scolastica, ma comprende tutti gli usi linguistici, più o meno legittimi.
Nel libro si analizzano alcuni degli errori che oggi si fanno più spesso e si vede come, in parte, tanti errori forse non lo sono più. Si parla di punteggiatura, di “analfabetismo funzionale”, di lessico e sintassi, di neologismi (la lingua è creativa, non dimenticatelo) e anglismi.
Perché usiamo così tante parole inglesi?
La lingua è una funzione della società; la salute della lingua dipende dalla salute della cultura e del senso civico. La lingua non si può governare, si può solamente indirizzare e non con i divieti e le critiche, o peggio con le leggi e le multe, bensì con il buon esempio dei parlanti di buonsenso, degli insegnanti e della classe dirigente. Ma purtroppo ci troviamo proprio nella condizione in cui è proprio la nostra classe dirigente, che oggi rispecchia il cittadino medio, ad usare ad esempio molti anglismi senza sforzarsi di trovare alternative.
Gli italiani smetteranno di preferire parole inglesi o pseudo inglesi quando impareranno bene la propria società, quando, cioè, si convinceranno che la propria società, la rete nella quale ciascuno di essi vive, lavora e opera, merita di essere valorizzata tanto quanto ogni altra.
Dallo scritto al parlato
Dalle abbreviazioni, ai segni tachigrafici (cmq, x, x’, tvb) fino alle emoji, nel libro si spiega come è possibile far convivere la scrittura informale, quella modellata sul parlato, quella scrittura distesa articolata, purché si distinguano i contesti d’uso e gli scopi della comunicazione. Non è colpa dell’evoluzione della scrittura promossa da Internet se gli studenti e molti adulti non sanno separare con precisione i contesti adatti all’emersione del parlato da quelli che non la tollerano.
Internet ha per la prima volta democratizzato lo scritto in lingua nazionale: uno strumento così utile andrebbe valorizzato, non certo demonizzato.
Dubbi grammaticali
Ammetto che il capitolo che ho preferito è quello dedicato ai dubbi grammaticali perché concordo con l’apertura: avere dubbi sulla propria lingua è l’atteggiamento più proficuo per migliorare la comunicazione.
In conclusione:
A chi è rivolto: Questo volume, e la collana dell’editore “l’italiano di oggi”, non si rivolgono ai linguisti ma a tutti i curiosi dell’italiano, tutti quelli che amano leggere e scrivere e, soprattutto, farsi domande sulla nostra lingua e su quella altrui.
Quanto è pratico: alla fine di ogni capitolo ci sono esercizi per mettersi alla prova (e soluzioni).
È da avere in libreria: io lo so che state pensando “a me questo libro non serve” ma, vedendo anche solo come qualcuno si approccia a noi nei DM di Instagram direi che un ripassino fa bene a tutti.