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TRE domande a… Davide Bertozzi

Creatività, strategia e una buona dose di ironia

Nel mondo della comunicazione, distinguersi è una sfida quotidiana. Davide Bertozzi è uno di quelli che ha trovato il suo equilibrio, lavorando come copywriter e direttore creativo per brand di rilievo come Red Bull, Terranova e Dorelan.

La sua esperienza spazia dal naming alla strategia pubblicitaria, fino alla formazione e alla divulgazione sul mondo della scrittura persuasiva.

Oltre alla sua attività professionale, Davide è anche autore di due libri che esplorano il potere delle parole nella comunicazione: “Immagini vs Parole”, un manuale sulla scrittura pubblicitaria, e “Freelance per sempre”, il suo ultimo lavoro, in cui racconta con ironia la vita di chi sceglie di lavorare in autonomia.

Con una visione lucida e mai scontata sul mestiere del copywriter, ha saputo adattarsi ai cambiamenti del settore, trovando nuove strade per farsi spazio e lasciare il segno. In questa intervista ci racconta un po’ di più del suo lavoro, del dietro le quinte e delle sfide che bisogna affrontare per restare sempre sul pezzo.


Nel tuo lavoro di copywriter e direttore creativo, quanto conta l’intuizione rispetto alla strategia? E in che modo questo equilibrio cambia quando scrivi per un marchio già affermato rispetto alla costruzione dell’identità verbale di un brand emergente?

La strategia è tutto. A mio avviso, l’intuizione è il risultato di un processo creativo, che poi è un processo mentale, l’evoluzione di un pensiero. La strategia è un po’ la direzione da prendere, poi ovviamente servono ragionamento, buone idee e un po’ di esperienza per evitare di cadere nel banale. Più che un equilibrio, è importante che la strategia sia corretta, così il messaggio che si costruisce (che concretizza una intuizione) è corretto. Con i brand già affermati la difficoltà sta nell’entrare in sintonia con un’identità che ha uno storico, dei dati, dei risultati; se accetti di lavorare con un’azienda che è sulla piazza da molto tempo, non puoi pretendere di arrivare e cambiare tutto, a meno che ti venga richiesto (mi è successo). Penso che sia più facile, comunque, lavorare con un’azienda già avviata rispetto una che va costruita da zero. Questo secondo caso a volte può essere più entusiasmante, ma proprio perché non si ha uno storico e proprio perché non si conoscono le strategie precedenti, non si sa cosa funziona e cosa no, cosa funziona benino e cosa benissimo. Nel senso: la tentazione di costruirlo come te lo immagini e come lo vorresti è forte, ma non sai quanto queste intuizioni siano corrette. Certo, se hai un po’ di buon senso e abbastanza esperienza alle spalle, sai cosa evitare, ma non lo sai fino in fondo. Quindi qualcosa sbaglierai. Ecco perché è più difficile, ma allo stesso tempo è anche più entusiasmante. E se funziona alla grande, anche gratificante.

Nel tuo percorso hai gestito naming, campagne e strategie per brand di rilievo. Qual è la chiave per far emergere la propria voce in un settore saturo come quello del copywriting e della comunicazione, e quali strumenti ritieni oggi più efficaci per differenziarsi in un mondo digitale sempre più rumoroso?

Lo stile. È importante trovare un proprio stile. Questo ti renderà adatto, o adatta, a lavorare solo con alcune realtà, non tutte. Per quanto una persona possa essere versatile, non può essere la persona giusta per ogni brand. Io riconosco forti difficoltà nel mondo dell’alta moda, dove ho avuto qualche esperienza e scoperto che non è proprio il mio campo. Per cui, trovo necessario costruire uno stile che identifichi bene chi sei, come lavori e per chi puoi fare la differenza. Se a questo ci aggiungi un piano editoriale senza peli sulla lingua, dove parli di ciò che ami, di come lavori e in cosa credi, ecco che risolvi anche il problema di posizionamento. Io sono un nerd, appassionato di cultura pop ‘80 e ‘90, design di prodotto, libri, scrittura creativa e words hacking, e di questo parlo, con un tono ironico e a volte pungente. Condividendo contenuti su questi temi, scritti in quella chiave, mi avvicina a persone che già amano queste cose. Ed è più facile entrarci in sintonia e lavorarci insieme. 

Nel tuo ultimo libro Freelance per sempre descrivi il freelance come una scelta di vita oltre che professionale. Racconti con ironia la realtà quotidiana di chi lavora in autonomia, tra lavori da casa e riunioni nei bar. Quale è stata la situazione più assurda o divertente che hai vissuto nella tua carriera? E cosa diresti ai nuovi freelance per farli sentire meno soli, ricordando loro che, in fondo, siamo tutti sulla stessa barca?

La situazione più assurda? Uh, cavolo, difficile scegliere, soprattutto senza offendere nessuno o rischiare una querela. Te la racconto senza fare nomi e indicare date precise, così andiamo sul sicuro. Stavo lavorando ad una serie di nomi per una multinazionale. Circa 10 nomi per 10 nuovi prodotti. Si trattava di uno dei clienti più importanti che avessi mai avuto, uno di quelli che dà un certo prestigio al portfolio e che incidono parecchio sul fatturato annuale. Il reparto marketing di questo brand era formato da persone brillanti e capaci, ma guidato da un project manager arrogante e maleducato: il classico fenomeno che ti urla al telefono “il tuo lavoro è una merda! Mi fa schifo! Non capisci un ca**o” e via dicendo. La prima volta che ha commentato con queste parole un mio lavoro ho pensato che sì, questo era poco simpatico, ma magari le mie proposte non erano granché. Siamo andati avanti così per tre mesi, con offese su offese su offese, poi ho sbottato. Di norma sono buono e pacato, raramente sbrocco, ma quando lo faccio è per sempre. In quel caso, ho chiesto un incontro con il responsabile del progetto, ho chiesto che fosse presente anche il project manager, così da poter parlare male di lui in sua presenza. Sapevo che mi stavo scavando la fossa e che avrei perso il cliente, e così è stato. In realtà mi è stato chiesto, mesi dopo, di firmare il contratto per una nuova collaborazione. Ho risposto “no, grazie, magari quando cambiate il project manager”. L’anno successivo è stata dura senza quel cliente e quell’entrata economica, ma il rispetto è la cosa più importante per una carriera gratificante. Non ti fa diventare più ricco, o più ricca, ma ti fa andare a dormire con il cuore in pace.
E questo è un problema di molti freelance: andare a dormire con il cuore in affanno, preoccupato, triste. È una cosa che succede a tutti e a tutte, e su quella dobbiamo lavorare tanto per vivere freelance e contenti.

Copywriter e direttore creativo

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