Il libro di Fabrizio Binacchi ci aiuta a mettere un po’ d’ordine nel macro tema dell’informazione, confusa spesso con la comunicazione se non addirittura con il marketing.
L’articolo 21 della costituzione recita: “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure“. Ecco, è forse su quel “tutti” che oggi abbiamo esagerato creando l’illusione e la presunzione che un profilo social vale come come un quotidiano o un Tg, un giornalista come un tronista. Nel secolo dell’iper comunicazione abbiamo svilito la parola.
I luoghi comuni nella storia
I luoghi comuni usati sui giornali ottocenteschi erano un continuo portare il lettore su un’altalena di rimandi a situazioni in grado di spiegare i concetto proposti attraverso richiami a espressioni dai colori intensi il più possibili vicini alle conoscenze e alle realtà vissute dai lettori.
Quando leggiamo i quotidiani o ascoltiamo il telegiornale, dentro di noi avviene qualcosa. Ci indigniamo, ci emozioniamo, ci arrabbiamo. Perché le notizie chiamano in causa il nostro modo di vivere, evitano sensazioni anche di rispecchiamento, di emulazione.
I luoghi comuni oggi
Uno dietro l’altro vengono “smontati” i luoghi comuni che leggiamo e ascoltiamo tutti i giorni. Ed è molto divertente oltre che interessante e istruttivo.
Molto bello il capitolo dedicato ai luoghi comuni in ambito medico dove viene detta una grande verità: i giornalisti hanno una grande responsabilità nel creare consapevolezza o caos, sicurezza insicurezza, fiducia o diffidenza. Il cervello si “maneggia”, ma le parole si creare aspettative indurre da darne ed uso.
In conclusione:
A chi è rivolto? A chiunque scriva, a qualsiasi livello, per qualsiasi media.
È da avere in biblioteca? Si, assolutamente. È un libro utile da sfogliare quando rileggiamo i nostri testi e abbiamo un dubbio su una “frase fatta”.