Oggi il giornalismo ha bisogno di trovare nuove strade, nuovi orizzonti e guardare a nuovi mercati. Il brand Journalism nasce da due necessità. La prima riguarda i brand e la loro esigenza d’integrare una comunicazione efficace verso i clienti con un’informazione di qualità circa la storia e i valori del marchio, andando oltre il semplice Storytelling. La seconda si riferisce alla necessità d’individuare nuovi mercati per il giornalismo, innovando una professione troppo legata agli schemi rigidi del passato
Il brand Journalism come opportunità per le aziende
Oggi le aziende, piccole o grandi che siano, stanno maturando una nuova responsabilità su temi come ambiente, sostenibilità e rispetto dei diritti umani. Il Brand Journalism è una grande opportunità di poter raccontare questa evoluzione.
Il Brand Journalism è strettamente legato ai valori del brand e alle cose in cui l’azienda crede, o dice di credere. Invece di utilizzare contenuti che promuovono direttamente il marchio attraverso tattiche tradizionali di marketing, il Brand Journalism si concentra sulla costruzione di storie e altri contenuti informativi che sottolineano il valore da un punto di vista diverso e inedito.
Puntare su un aspetto inedito vuol dire cercare un’angolatura diversa per raccontare una storia, un fatto, una tendenza. Non limitarsi, dunque, a superare chi ha scritto già di quell’argomento per arrivare tra le prime pagine dei risultati di Google come avviene spesso nel Content marketing, ma dare dei dettagli in più, dei punti di vista diversi facendo nuove ricerche, consultando nuove fonti, ascoltando persone diverse. Com’è tipico del giornalismo d’altronde.
Brand Journalism non il Content Marketing
Se c’è una prima cosa da capire è che il Brand Journalism non è fare Content marketing.
Con il Brand Journalism si vuole mettere in risalto il valore di un’azienda o di un’organizzazione da un punto di vista differente. Quello che, cioè, permette di attrarre settori e li porta a conoscere il prodotto editoriale e da qui a essere sempre più coinvolti dall’azienda e dai valori che trasmette.
“Informare per riuscire a vendere” contro “informare per diffondere valori e cultura” è sicuramente una dicotomia fondamentale tra Content marketing e Brand Journalism. Ma il discorso è ancora più complesso. Se il Content marketing mira a produrre contenuti che possono incoraggiare gli utenti a compiere un’azione, puntando dunque sulla conversione e il conseguente aumento delle vendite, il Brand Journalism racconta storie con l’obiettivo di rafforzare i valori costruendo con il lettore un rapporto basato sulla consapevolezza e l’affinità.
Il consumatore, bombardato per troppo tempo dei messaggi pubblicitari tradizionali, è oggi assuefatto a tal punto da non recepirli più in maniera positiva, ovvero come strumenti che persuadono ad acquistare un determinato prodotto o servizio. Anzi, più questi messaggi sono invasivi e più allontanano il consumatore dall’obiettivo della pubblicità. Da qui la necessità di un nuovo modo di fare marketing: il racconto di storie (Storytelling) con la capacità di attrarre la domanda, utilizzando come ancore le emozioni e gli interessi.
I sei criteri del Brand Journalism
Ma quali sono i criteri da seguire per un progetto completo di Brand Journalism?
- focalizzarsi su pubblico
- trovare una voce
- essere credibili
- essere semplici
- pensare visivamente
- togliere il marchio del contenuto
Nel libro si spiega bene il rapporto tra giornalista e pubblicità e come questo non interferisca con il lavoro di Brand Journalism perché la voce del giornalista in questi progetti è sempre imparziale.
Come nasce un progetto di giornalismo aziendale?
Il progetto di Brand Journalism è informazione pianificata attraverso un progetto editoriale su contenuti che si avvicinano alla storia, all’identità e ai valori del brand, utilizzando gli strumenti e le regole proprie del professionista della notizia.
Stabilire a priori gli obiettivi da realizzare, i contenuti di creare e il modo in cui una redazione deve lavorare è l’elisir di lunga vita per qualsiasi progetto editoriale. Nel libro scoprirete che cos’è un piano editoriale, come si fa e chi lo fa: poi ci sono gli attori, il budgeting, le domande al cliente e la definizione dei KPI.
Il libro è un susseguirsi di consigli e tool utili per quest’attività, con importanti contributi di esperti che approfondiscono vari temi come la scrittura che piace (anche) a Google, gli eventi digitali, e l’uso di video e podcast (scritto da Damiano Crognali che io adoro!).
In conclusione:
A chi è rivolto: a chi vuole approfondire l’argomento per portarlo in azienda, ai giornalisti che non sanno cosa fare della loro iscrizione all’albo, a chi di occupa di Brand reputation.
Quanto è pratico: non vi aspettate di leggere esempi di testi ecc; non è lo scopo del libro. Quello che gli autori hanno voluto fare è spiegare BENE come poter raccontare un’azienda da un punto di vista diverso ma sempre più importante, non quello commerciale e di marketing, ma quello valoriale e imparziale.
È da avere in libreria: è un grandissimo si!