Il sottotitolo del libro ha una promessa ben precisa: offrire sette strategie per diventare la versione più influente e ispirazionale di noi stessi.
Pensiamoci un attimo: accade di assistere ad alcuni speach, oppure di rivedersi dei TED su Youtube. E accade di trovarsi di fronte a persone che mentre raccontano sono in grado di portarti con loro in un viaggio, un viaggio diretto verso il cuore della storia che stanno raccontando.
La verità è che non si nasce grandi narratori, ma lo si può diventare. Per essere un buon narratore non basta essere un abile oratore. È necessario imparare come tenere viva e alta l’attenzione del pubblico. E il libro in questione ci supporta proprio in questo.
Perché mi piace questo libro
- Intanto l’autrice ha origini irlandesi. E già questo è “sinonimo di garanzia” rispetto alla capacità di tale popolo di saper raccontare storie. L’Irlanda, del resto, è patria di grandi narratori. Potrei anche aggiungere che simpatizzo per gli Irlandesi, visto che le radici di mio nonno materno provengono proprio da lì. Ma questo fatto per voi che state leggendo la recensione è totalmente irrilevante.
- Il libro è un manuale per storytelling, per niente manuale. Mi spiego meglio: la sensazione è quella di essere in compagnia dell’autrice per un buon the (o una birra, a seconda dei gusti), per fare una chiacchierata. E ti insegna come raccontare, raccontando.
- È molto scorrevole, ogni capitolo si apre con celebre aforisma attinente al contenuto, mentre al termine presenta uno specchietto riepilogativo articolato per punti.
- Nell’ultima parte è presente un’appendice contenente un eserciziario dove poter fare subito un po’ di pratica, parte curata da Cristiano Carriero.
- Mette la voglia di provarci davvero e lascia la speranza di riuscirci sul serio. Mi riferisco al diventare narratori, ovviamente.
Come si struttura il libro
Il testo dedica un capitolo ad ognuna delle sette strategie, con una parte di introduzione, conclusioni e appendice come già anticipato sopra.
Preferisco non riportare i titoli dei vari capitoli semplicemente perché non ostentano eccessivamente il contenuto, per cui preferisco lasciare un po’ di suspense.
Posso solo anticiparvi che il mio preferito è il numero 4, che si apre con una frase di Rebecca Solnit: “Pensiamo di essere noi a raccontare le storie, ma spesso sono le storie a raccontare qualcosa di noi”. Questo capitolo è infatti dedicato al parlare con il cuore.
Capacità che ho sperimentato in prima persona, dal vivo intendo, proprio nei giorni scorsi durante un giro domenicale fatto con i miei bambini. Giunti a visitare una chiesa davvero suggestiva sia per la location che per lo stile architettonico, un signore di mezza età “autoctono” stava raccontando ad alcuni visitatori la storia di quell’antica chiesa di paese. Lo stava facendo con il cuore ed ho percepito in modo vivido la vibrazione emanata con il suo racconto. E lo riallaccio perfettamente al capitolo 4.
Cos’è una storia e come è fatta
Direttamente dalla pagina 83 del libro: “Una storia è la descrizione di un personaggio, in una serie di circostanze, costretto ad effettuare delle scelte che lo porteranno ad affrontare un cambiamento”.
Tutte le storie hanno una trama che prende forma con il susseguirsi degli eventi. Le migliori storie hanno una struttura specifica in grado di scatenare determinate reazioni emotive. Sì, perché la stessa storia può essere raccontata in x modi diversi e di conseguenza ottenere reazioni tra il pubblico molto diverse tra loro.
Partendo dal presupposto che l’obiettivo della storia è quella di essere significativa e memorabile, l’autrice ci racconta che ogni storia è suddivisa nelle seguenti tre parti:
- Incipit, che ha lo scopo di attirare l’attenzione del pubblico.
- Parte intermedia, che contiene le sfide che il protagonista dovrà affrontare.
- Parte finale, che porta in seno il cambiamento che è avvenuto nel protagonista.
Per far sì che questa struttura venga rispettata, ci arrivano in soccorso le 5C dello storytelling:
- Contesto
- Catalizzatore
- Complicazioni
- Cambiamento
- Conseguenze
Le prima due ci aiutano a coinvolgere il pubblico, in quanto si presenta il mondo del protagonista e vengono introdotti gli eventi che andranno a verificarsi.
La terza e la quarta rappresentano i problemi che il protagonista dovrà affrontare ed i percorsi da intraprendere per superare le difficoltà. Qua l’obiettivo specifico è quello di entrare in empatia con il pubblico.
L’ultima, la quinta C, tratta della risoluzione della storia e occorre mostrare al pubblico come il protagonista sia uscito cambiato/trasformato da quanto ha vissuto. Lo scopo è quello di suscitare meraviglia e generare sentimenti di gioia e di speranza, lasciando al pubblico una piccola eredità: cosa abbiamo imparato dall’esperienza vissuta dal protagonista.
Dopo aver sapientemente raccontato delle 5C, l’autrice svolge un esercizio ed applica la scomposizione ad una storia in carne ed ossa.
E non dimentichiamo: tutto quanto andremo a raccontare dovrà essere attraversato da un filo conduttore invisibile, altrimenti corriamo il rischio che il pubblico abbandoni prima del gran finale.
La chiave di volta
È creare risonanza emotiva. Come? Raccontando una verità che il pubblico riesca poi ad applicare nella propria vita quotidiana.
Conclusioni: una piccola perla sullo storytelling. Davvero preziosa.
A chi è rivolto: a tutti coloro che desiderano migliorare le proprie performance di narratori o desiderano diventare tali anche partendo da zero.
Quanto è pratico: il libro è scorrevole, piacevole e strutturato in modo chiaro.
È da avere in libreria: sì, non ve ne pentirete.