A che cosa penso se penso alla felicità sul posto di lavoro? Perché mi interessa che la mia organizzazione diventi un luogo felice? Perché tollero che rimanga un luogo di infelicità? Sono solo alcune delle 10 domande che Chiara Bisconti elenca a conclusione del suo libro, per permettere al lettore di valutare e analizzare la sua attuale situazione lavorativa.
Chiara Bisconti è una consulente per le risorse umane ed esperta di lavoro agile. Dopo una lunga carriera in Nestlè, dove ha ricoperto da ultimo il ruolo di Direttrice del Personale del Gruppo Sanpellegrino, è stata Assessora del Comune di Milano durante la giunta Pisapia, con deleghe al Benessere e Qualità della Vita.
La felicità è una parola che deve trovare posto nelle organizzazioni, specie in questi ultimi anni di ripensamento del lavoro, ormai stravolto soprattutto dalla pandemia da Covid-19. Se da una parte ci sono diverse aziende che, già da tempo, hanno messo in atto percorsi di cambiamento verso un’organizzazione del lavoro felice, dall’altra, si fa ancora fatica a comprendere quanto la dimensione della felicità sia necessaria nell’epoca in cui si il modo di lavorare lo si immagina in chiave più moderna.
Una buona parte della forza lavoro mondiale è triste
Il report annuale State of the Global Workplace Report condotto dalla Gallup Inc spiega che, nel mondo, il 60% delle persone che lavorano è emotivamente distaccato dal proprio lavoro, mentre il 19% soffre quotidianamente quando si trova nei luoghi di lavoro. Solo il 21% delle persone al mondo sono felici del proprio lavoro, una percentuale che scende al 14% se si prende in considerazione il continente Europeo, per poi crollare al 4% se invece ci riferiamo all’Italia. Un altro dato allarmante che interessa il Belpaese è che il 27% dei lavoratori ha confermato di aver provato tristezza durante la giornata lavorativa precedente.
Sempre la società Gallup fa sapere che le organizzazioni con lavoratrici e lavoratori coinvolti hanno profitti del +23% rispetto a quelle con dipendenti infelici. Infatti, le persone felici lavorano meglio e sono più produttive.
Differenza tra felicità collettiva e felicità individuale
È difficile pensare che felicità e lavoro possano essere in armonia, quantomeno non al giorno d’oggi. In realtà, non è però un’utopia, basta solo costruire la felicità pubblica (o collettiva), affinché quella privata (o individuale) possa successivamente circolare liberamente e internamente.
Chiara Bisconti definisce la felicità pubblica come il carburante. Essa, infatti, nasce dalle relazioni tra persone, nei luoghi in cui si incontrano. La maggior parte delle persone chiedono ai propri manager di poter gestire il tempo in modo flessibile, così da trovare un equilibrio soddisfacente con la vita privata, pur tenendo insieme dunque la voglia di un lavoro interessante e le ambizioni di crescita.
Lavoriamo meno, lavoriamo meglio
Ha ragione l’autrice quando scrive che i manager hanno pensato a lungo di poter controllare i dipendenti, facendo coincidere la quantità di ore lavorate con la qualità del lavoro o quando dice che abbiamo continuato a credere che chiedere alle persone di lavorare per 8 ore fosse ancora garanzia di qualità delle loro prestazioni. La relazione tra quantità di tempo lavorato e produttività sembra essere inversamente proporzionale. Se lavoriamo meno, diventiamo più produttivi.
In Felicità viene citato il caso studio della Gran Bretagna sull’esperimento della settimana corta, in cui sono state coinvolte 61 aziende e circa 3mila lavoratori. Il 39% dei partecipanti si è sentito meno stressato lavorando meno. Sono diminuite poi ansia e fatica, migliorate la qualità del sonno e la salute mentale, mentre i giorni di malattia sono scesi di 2/3.
I 5 pilastri che facilitano la felicità collettiva
Nel libro di Chiara Bisconti vengono evidenziate le cinque condizioni facilitanti la felicità, che l’autrice definisce pilastri: il Tempo, la Bellezza, le Emozioni, la Diffusione del potere e in ultimo la Convivenza delle unicità.
Per Chiara Bisconti, il tempo è il primo pilastro che sorregge lo spazio della felicità collettiva, ma la dimensione estetica dei posti in cui lavoriamo è altrettanto importante, poiché in un luogo bello le persone lavorano con maggiore motivazione. L’autrice vuole contribuire affinché il mondo del lavoro non sia più pensato faticoso e raccontato infelice.
Felicità risulta un libro pratico, scorrevole, ricco suggerimenti e con tre esempi di aziende che sono riuscite ad attuare questo cambiamento e dalle quali Chiara Bisconti si è fatta raccontare come mettere in pratica alcuni concetti non poi così complessi. Trattasi di parte del libro, la terza, che funge da stimolo per costruire lo spazio della felicità collettiva.
Consiglio la lettura ai manager e all’intero team delle risorse umane, ma anche a consulenti e a tutti gli imprenditori di qualsiasi settore merceologico. Un titolo da tenere in libreria, augurandoci di riprenderlo tra qualche anno per sorridere su come e quanto il malessere nelle organizzazioni abbia per lunghi anni afflitto molte persone.